Molte etnie indigene nel mondo sono a rischio di estinzione. Senza alcuna tutela. Dalle più remote foreste pluviali, a deserti infuocati, ad altitudini maestose, sul Pianeta Terra vi sono popoli indigeni che hanno creato rapporti simbiotici con le loro terre ancestrali, perfezionando una cultura di sopravvivenza e di adattamento all'ambiente nel pieno rispetto dei più svariati ecosistemi. Lo stile di vita di questi popoli, ai ritmi della natura, e nel pieno rispetto di essa, ha fatto sì che nelle loro terre non si siano estinti, come altrove, animali, piante, biosistemi. Guardiani della natura, ambientalisti, ecologisti perfetti, i popoli indigeni sono fratelli nel condividere una storia tragicamente simile. Le loro terre sono -ancora per poco incontaminate, senza inquinamento, senza quei fili elettrici e telefonici, senza quei gasdotti e oleodotti che ovunque nel mondo moderno scorrono come cicatrici ed elementi alieni. Ma queste terre, gli ultimi paradisi terrestri sopravvissuti ai giorni nostri, in Africa, Asia, Oceania e nelle Americhe, sono spesso ricche di risorse e giacimenti -oro, diamanti, bauxite, carbone, petrolio, foreste- che decretano spesso la distruzione, la cancellazione, la persecuzione per questi popoli , in nome del 'Progresso' .
E' curioso come estinzione di animali ed estinzione di etnie indigene facciano spesso un percorso tristemente similare di fronte alla globalizzazione; mentre invece, laddove condividano lo stesso ambiente, animali e popoli indigeni vivono nella armonia dettata dalle esigenze naturali: nutrirsi e prendersi cura della famiglia, e sopravvivere alle impervietà della Natura.
Purtroppo, la estinzione di specie animali suscita ben più clamore di quella di una razza umana, come quella dei Pigmei, ad esempio, che stanno per scomparire insieme alle loro amate foreste, o dei Boscimani, che sono oggetto di un attacco mirato nel nome del vangelo Denaro. Un vangelo che predica la legge del più forte, in terre remote e dimenticate.
'Homo homini lupus', sono sempre uomini che mettono in pericolo l’esistenza di razze di uomini. Quando sta per estinguersi una specie animale l'uomo se ne ritiene responsabile e, se possibile, prende adeguate contromisure di protezione, e lancia l’allarme. Nel 2011 ad esempio è stato lanciato il 'Save the frogs Day', per salvare le rane. In Italia, c’è il 'Progetto Rospi', per aiutare i rospi ad attraversare la strada senza essere uccisi. In una marea di contraddizioni, non ultima quella dell'orsa Daniza. Navigando su internet poi si prende atto che sono a rischio di estinzione religioni, film, ortaggi, parole. Poca o nessuna premura per la estinzione di popoli.
Nel 2010 è morta l’ultima donna della tribù dei Bo, nelle Isole Andamane. E Gyani, l’ultima dei Kusunda, in Nepal, dice: «Sono l’ultima a parlare la mia lingua».
La forte discriminazione di cui sono oggetto i popoli indigeni è spesso causata anche dalla mancanza di comunicazione degli stessi con istituzioni e governi, a causa della assenza di scuole idonee che insegnino loro le lingue principali. I loro preziosi dialetti, infatti, spesso costituiscono un muro e aiutano l'isolamento e la mancata conoscenza dei loro diritti. Leggi di tutela adeguate per i popoli indigeni non esistono o, come nel caso del Forest Right Act in India, sono spesso violate. Il diritto dei popoli indigeni alla propria terra, alla propria religione, alla propria lingua, al proprio nome e alla propria esistenza è stato violato centinaia di anni fa ed è violato ora. «I nostri nomi originali sono stati cambiati, storpiati e poi cancellati. La nostra lingua e la nostra religione sono state vietate per tanti anni. Ed ora stiamo lottando per ricomprare la nostra stessa terra, a prezzi salatissimi. E stiamo istituendo scuole dove venga insegnato il nostro linguaggio», mi racconta Marie della tribù di nativi americani dei Salish, negli Stati Uniti.
Non esiste altro posto dove i popoli indigeni vogliano nascere, vivere e morire: la terra dei padri.
«Datemi un carro, un asino: voglio tornare a casa» mi dice una donna boscimane in Botswana. Non desidera altro. Deportata dal deserto, strappata da 'casa', a causa del ritrovamento di un ricco giacimento di diamanti, non vuole soldi o una casa o un lavoro: vuole tornare alla sua terra ancestrale. «La nostra vita è molto peggiore di quella dei nostri padri. Fuori dalla foresta non sappiamo come vivere. Siamo vittime di soprusi e violenze», mi confida esasperata una donna pigmea in Camerun. «Dopo averci arrestato e torturato, ci hanno detto: toglietevi di mezzo o spariamo su tutti», mi racconta un adivasi dell’Orissa, dove per una miniera di bauxite vi sono state deportazioni di interi villaggi. Oggi si è tutti adirati e pronti a far la voce grossa per ripulire la propria fetta di mondo. Ma proprio per la globalizzazione la nostra fetta di mondo non è più limitata al quartiere, alla città, al Paese. Ciò che accade in Giappone arriva a toccarci in un attimo. I mercati finanziari sono soggetti all’effetto domino immediato. Il mondo è di tutti. La cultura dei popoli indigeni è un tesoro che appartiene a tutti e va
salvaguardato prima che scompaia.
Molti governi non hanno ancora applicato i principi della Dichiarazione Onu sui diritti dei popoli indigeni e della Convenzione dell’ILO (n. 169) sui popoli indigeni e tribali. Che è stata finora ratificata solo da 22 Paesi nel mondo. La ILO, Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organization) è l’ agenzia delle Nazioni Unite, con sede a Ginevra e 179 Paesi membri, che si occupa di promuovere il lavoro, in condizioni di pace, libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità; promuove i diritti dei lavoratori ed è responsabile dell’attuazione delle norme internazionali del lavoro, promuovendo pace, prosperità e progresso. L’Italia è stato membro e dal 1919 ha ratificato più di 100 Convenzioni internazionali. Ma non ancora la ILO 169, che mette per iscritto i diritti dei popoli indigeni e questioni d'importanza vitale: garanzia dei diritti umani e delle libertà fondamentali; il diritto all'identità culturale e alle tradizioni comunitarie; il diritto alla partecipazione dei popoli interessati alle decisioni che li riguardano; l'uguaglianza di fronte all'amministrazione ed alla giustizia. L’Italia nel 2000, insieme alla Germania, ha rifiutato di aderire alla ILO 169, obiettando che non ha popoli indigeni che vivono nel Paese. Ma è molto importante che anche l’Italia ratifichi la ILO 169 in quanto trattato universale a garanzia dei diritti delle popolazioni indigene. E’ una adesione doverosa in nome dei diritti umani di queste popolazioni che hanno subito già stermini, abusi, privazioni, esili ed oggi sono spesso tragicamente minate da alcol, AIDS, suicidi. Stanno perdendo la loro identità e hanno pieno diritto, dopo che le loro terre sono state usurpate per petrolio, oro, diamanti, uranio, legname, a recuperare la loro dignità e a mantenere le loro tradizioni, fortemente legate alla terra ancestrale. Questi popoli e le loro tradizioni non possono rimanere solo nei documentari o nei film.
Esiste una Giornata Internazionale dei Popoli indigeni, celebrata il 9 agosto, proclamata per la prima volta dalla Assemblea Generale dell'ONU a dicembre nel 1994 affinché fosse celebrata ogni anno per tutta la durata del primo Decennio Internazionale dedicato ai Popoli indigeni (1995 – 2004). Nel 2004 l’Assemblea ha proclamato un secondo Decennio internazionale, dal 2005 al 2015. Si auspica che la Giornata da Internazionale diventi Mondiale. Quale attivista per i diritti umani dei popoli indigeni, ritengo fondamentale anche valutare la pertinenza del Parlamento Europeo, per applicare un monitoraggio dell’impatto commerciale , sociale, culturale e ambientale delle aziende europee che operano nelle aree abitate da popoli indigeni ( e cito ad esempio la interrogazione parlamentare del 21 giugno 2011 Colombia-UE). Importantissimo anche un controllo severo dell’impatto turistico causato da flussi europei nelle zone abitate da popoli indigeni, talvolta estremamente dannoso a livello culturale, senza peraltro che arrechi benefici economici alle popolazioni, bensì solo agli operatori turistici che sfruttano il folklore locale senza scrupoli. E inoltre, un monitoraggio delle manifestazioni ed eventi organizzati in Europa dove si richiedano interventi ed esibizioni di popoli indigeni in condizioni di povertà. Essi vengono spesso sfruttati senza percepire ricompense adeguate, violentati culturalmente per poi tornare alla loro miseria.
In questo senso andrebbero anche sensibilizzate le ambasciate europee in loco per evitare un traffico di 'danzatori' e “suonatori' che ricordano il Wild West Show dell’Ottocento. E' ora di decidere a quale tribù apparteniamo: quella che sostiene i popoli indigeni, o quella che si ritiene più 'evoluta'? Quella che crede nella giustizia e nei diritti umani, o quella degli europei 'colonizzatori'?
Tratto da articolo già pubblicato su L'Indro
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